martedì 31 dicembre 2013

FONDAZIONE «ROBERTO FARINA» Onlus Premio Internazionale di Poesia «Roberto Farina» XII Edizione

FONDAZIONE «ROBERTO FARINA» Onlus
Premio Internazionale di Poesia «Roberto Farina»
XII Edizione

Contrada Foretano – 87070  MONTEGIORDANO MARINA
premiodipoesia@fondazionerobertofarina.it


Il Premio è destinato a volumi di poesia di Autori italiani o di Autori stranieri (tradotti in italiano) editi tra il primo di Gennaio 2012 e il 31 Marzo 2014.

Le opere, da inviare direttamente ai componenti della Giuria, di cui si fornisce l’indirizzo, dovranno pervenire entro il 30 Aprile 2014 con la dicitura scritta sul plico o su un foglio: «Partecipa al Premio Farina». Una copia va inviata anche al Dott. Antonio Farina, Contrada Foretano, 6 – 87070 Montegiordano Marina (Cosenza). I libri inviati non potranno per nessuna ragione essere richiesti indietro.

Il vincitore riceverà la somma di euro 2.000 (Duemila) e una targa artistica oltre all’ospitalità e alle spese di viaggio.  Non sono ammesse deleghe. L’eventuale assenza del vincitore alla cerimonia di premiazione, che si terrà domenica 1° Giugno 2014 a Roseto Capo Spulico, nell’Alto Jonio Cosentino, avrà il significato di rinuncia al Premio.
La Giuria – il cui giudizio è insindacabile - si riserva si segnalare alcuni poeti con una targa artistica.

Il Presidente della Giuria e il Dott. Antonio Farina, Presidente della Fondazione, assegneranno una targa artistica a una personalità illustre nel campo della scienza, dello sport, della politica, della cultura o delle attività ricreative.

GIURIA

Dante Maffia, scrittore (Presidente)
Via Adolfo Ravà, 76 – 00142 ROMA

Giuseppina Amodei, scrittrice
Via del Palagio, 22 – 50026 PIAN DI SCO’ (AR)

Gennaro Mercogliano, saggista
Contrada Amica, 370 – 87067 ROSSANO STAZIONE (CS)

Eugenio Nastasi, poeta
Viale S. Angelo, 33 – 87067 ROSSANO SCALO (CS)

Marco Onofrio, poeta e critico letterario
Via Taranto, 178 – 00182 ROMA

Luigi Reina, storico della Letteratura Italiana
C.so Vittorio Emanuele, 14 – 84123 SALERNO


Dallo scorso anno il Premio si arricchisce della Sezione “Angelo Lippo” il cui vincitore, scelto tra  i partecipanti,  riceverà un’opera d’arte, dono della famiglia del poeta tarantino, e una targa artistica.


 I vincitori delle precedenti Edizioni

2003 - Alberto Bevilacqua
2004 - Antonio Riccardi
2005 - Luciano Luisi
2006 - Giuseppina Amodei
2007 - Maria Luisa Spaziani
2008 - Mario Specchio
2009 - Dacia Maraini
2010 - Sergio Zavoli
2011 - Marco Onofrio
2012 -  Davide Rondoni
2013 - Bianca Maria Frabotta









mercoledì 25 dicembre 2013

Nota di Dante MAFFIA [Giovanni Pistoia, Come il fiume fluisce verso il monte – poesie, Photocity Edizioni, dicembre 2013]



Nota di Dante MAFFIA

[Giovanni Pistoia, Come il fiume fluisce verso il monte – poesie, Photocity Edizioni, dicembre 2013]

La prima sensazione provata, leggendo questo libro, è stata quella di entrare in un paese abbandonato, di quelli dove l’erba e il muschio a un certo punto fanno da padroni. Come se Giovanni Pistoia fosse andato alla ricerca del se stesso bambino e avesse voluto ripristinare un rapporto quasi carnale con le persone dell’infanzia, con i familiari, con le cose che gli sono appartenute. Eppure, in tutta questa dovizia di particolari che riportano al passato, non c’è nessuna traccia fortemente realistica: tutto è ripescato come da un sogno, che però ha contorni nitidi e ha voce ferma e perentoria, tanto che i particolari sono definiti e hanno l’aspetto di fotografie d’epoca.
Eppure le varie composizioni sono di periodi diversi e sono uscite su antologie varie e su riviste, non sono nate da un progetto unitario. Prova dunque che Giovanni Pistoia ha in sé una visione coerente del suo mondo interiore, e soprattutto un linguaggio che sa essere suo nelle accensioni liriche e nelle declamazioni sentimentali.
Comunque in questa sorta di “ricostruzione” di una certa epoca, non c’è nulla di stantio o di crepuscolare, c’è semmai la necessità di riappropriarsi di ciò che s’è perduto in modo da poter servire a chiarimenti, a confronti, insomma alla crescita.

Il libro comincia con

Muta e deserta è questa via
dove nacqui portato dalle rondini
a primavera
all’ombra del vecchio arco
che racconta ancora
storie di miracoli e povertà”.

L’atmosfera è creata appieno e così si può calpestare il vecchio selciato, entrare nei vicoli, vivere l’inedia, visitare la casa dove le “Ragnatele tessono l’elogio del tempo”.
Poi però il libro si apre a spazi più ampi, percorre situazioni del vissuto e del sognato e lo fa con quella pacata effervescenza che è tipica della poesia di Giovanni Pistoia e che rende ogni cosa una preziosa icona.
Tuttavia non c’è mai un accento che significa necessità di ritorno assurdo al passato. Il passato è esistito ed è stato vissuto, appartiene alla storia dell’uomo, ma sarebbe un errore madornale invocarne il ripristino, cercarne un finto presente. E infatti il poeta, cosciente della operazione messa in atto, arriva a concludere con quella splendida poesia dialogata che è Sogna bambino in cui si avverte la capacità del poeta di saper ribaltare la nostalgia in futuro:

rincorri il filo colorato del tuo aquilone
è tuo è tuo non è di nessuno …
è tempo è tempo
di ricominciare”.

Questo è press’a poco l’arco ideale e diciamolo pure ideologico dentro cui Pistoia fa muovere le sue necessità espressive, il suo affondo nella dinamica del vivere legato a un luogo e a una realtà. Ma dentro, sparse nelle pagine, ci sono momenti da non trascurare, a cominciare dall’affresco di Plataci dove quei “tetti … sazi” hanno qualcosa di profondamente umano e a finire al Pincio dove il tramonto assume altra natura:

È alba di fuoco il tramonto
sul balcone del Pincio
la sera”.

Passando per il lago di Tarsia dove

Sul muretto siede, or sono anni,
un’arguta nonnetta …
La sua mano tesa è la benedizione al passante,
il buongiorno del lago a chi cerca la pace”.

Ma quel che più convince di questo bellissimo testo è l’amore per la natura che trabocca ad ogni pagina. Ci sono ginestre e foglie d’ogni genere, ci sono conchiglie, rondini, farfalle, cardi e stelle, sogni, tanti sogni che la dicono lunga sulla sensibilità di quest’uomo che ha scelto di vivere appartato e silenzioso e che ha dalla sua una tale dovizia di doni umani e poetici da non temere paragoni.
Non è lo strombazzare del nome che può, col tempo, “vincere di mille secoli il silenzio”, ma la certosina maniera di abbeverarsi alla bellezza, al sogno, alla speranza del futuro.
Questa poesia è intrisa di cose concrete che sanno diventare icone ed emblemi di quella magia che ricorda il mondo zen se è vero, com’è vero che

 “… Il mare
cancellò presto i nostri volti,
seminò il ricordo fra gli scogli”.

Ancora una prova di come si deve fare poesia irrorando del proprio io ogni verso e nello stesso tempo subito rendendolo appannaggio degli altri e non privilegio egoistico o personale esibizione. Giovanni Pistoia ormai ha una voce riconoscibile e vera, autentica e convincente e ogni volta comunque ci porta dentro circostanze che sono intrise di vita e che sanno

aggrapparsi alle stelle …
forse l’ultimo sogno per non smarrire i sentieri, e trovarsi”.

Dante Maffia
Roma, Natale 2013


Giovanni Pistoia
Come il fiume fluisce verso il monte
poesie
Photocity Edizioni, dicembre 2013

Il volume è distribuito da:



lunedì 16 dicembre 2013

Premiata in Sicilia AVE MARIA DEI NAUFRAGHI di Anna Manna


Premiata in Sicilia la poesia di Anna Manna “Ave Maria dei Naufraghi”

La poesia Ave Maria dei Naufraghi di Anna Manna ha vinto il Gran Premio Speciale Parole e Musica  nell'ambito del XXV Premio Nazionale Rosario Piccolo di Patti (Messina) 


AVE MARIA DEI NAUFRAGHI
di Anna Manna

L’arsura cocente della speranza
trascina fino a Te la mia preghiera

Ave Maria, Madre del mare
prendi tu la mia catena
cambiala in vela
fammi navigare
fino a sfiorare i cieli

Stammi vicina col Tuo cuore
azzera le distanze degli oceani
e spacca i muri che ci allontanano

Tu che fosti casa e culla di Dio
Sacro passaggio dal divino alla carne
fammi nascere adesso all’amore del mondo

Ave Maria, Madre degli oceani
racchiudi in ogni piccola carezza
la potenza delle maree
resta a vegliare questa nuova vita
che ogni giorno cerco
arrancando nel buio

Tu che sei intarsio divino
su roccia intiepidita dal dolore
diventa casa di tutti in mezzo al mare

Accogli i disperati sul tuo scoglio

Ululano le tempeste
scardinano gli equilibri dell’anima
l’angoscia avanza tra i flutti
che offuscano il domani

Ave Maria
Madre e Regina del mare
primo sguardo avvinghiato
ai sussurri dell’acqua
salvaci
siamo dispersi tra le onde

Legaci con l’amore gli uni agli altri
Placa le bufere infernali
placa le differenze
dentro i cuori
mostraci il Tuo sorriso santo
fino alla tenerezza
…fino al perdono

Rendici il dono
della comprensione!





martedì 10 dicembre 2013

Rosanna GIOVINAZZO/ Alle radici del presente di Giovanni Pistoia





Una NOTA di Rosanna GIOVINAZZO a proposito del volume:

“ALLE RADICI DEL PRESENTE. CALABRIA: vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento” di Giovanni Pistoia, seconda edizione, Photocity edizioni, ottobre 2013.


“Alle radici del presente - CALABRIA vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento” di Giovanni Pistoia è un testo che offre un valido contributo alla ricostruzione storica ed alla conoscenza di particolari inediti riguardanti un periodo della nostra storia regionale: il Seicento. Si tratta della trascrizione di un manoscritto del XVII secolo conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana: Ms. Barberino Latino 5392.

Giovanni Pistoia ha avuto il grande merito di pubblicare questo manoscritto che ha come titolo “Relazione della Provincia di Calabria, e dello Stato di essa così nel Temporale come nello Spirituale” nella sua versione integrale, essendo stata, in parte, già pubblicata dal celebre bizantinologo nonché studioso della Calabria, Silvio Giuseppe Mercati (1877-1963). Nello specifico, il Mercati pubblicò nell’Archivio storico per la Calabria e la Lucania (12, a. 1942) con il titolo Calabria e calabresi in un manoscritto del XVII sec., le parti che ritenne utili per la conoscenza di fatti storici e di costume e società della Calabria del ‘600. Tralasciò invece, in massima parte, le parti riguardanti le origini e gli aspetti fisici e ambientali, ripromettendosi però di pubblicare la relazione per intero, in seguito. Ma ciò, in realtà, non avvenne. Passi della Relazione furono anche pubblicati in alcuni articoli della rivista Il Serratore a firma di Peppino De Rosis (n. 37/1995) e di Luigi De Luca (n. 38/1995).

L’autore della Relazione è ignoto e, secondo Giuseppe Mercati, non è calabrese ma, probabilmente, lombardo o piemontese, e ciò è deducibile da alcuni passi della relazione stessa. Inoltre, l’autore visse a Roma e scrisse la Relazione dopo aver visitato la Calabria, su incarico del Santo Uffizio. Non si conosce esattamente la data in cui fu scritta ma, da particolari inseriti nel testo (descrizione della Certosa di Serra San Bruno e del Convento di San Domenico di Soriano che, all’epoca della visita dell’autore, sono intatti) si può affermare che sia stata scritta prima del terremoto del 1659. Compongono il manoscritto 34 fogli cartacei, il cui contenuto viene suddiviso da Giovanni Pistoia in 46 paragrafi per rendere la lettura e la comprensione della Relazione stessa più agevole.

Paragrafi che riguardano gli aspetti storici, partendo dalla mitica fondazione di Reggio ad opera del pronipote di Noè, Aschenez, per giungere all’epopea omerica, alla gloriosa Magna Grecia, ai Bruzi, alle dominazioni romana, bizantina, normanna fino alle altre succedutesi fino agli Spagnoli. E poi, aspetti geografici, paesaggistico-ambientali (molto interessante il paragrafo riguardante la Sila) e quelli riguardanti la fauna, i prodotti: dai frutti alla seta, dal sale ai metalli, ai coralli che si pescano da “Pavola fino al Golfo di Sant’Eufemia…e nel Mar di Levante intorno al Promontorio di Leucopetra o Capo dell’Armi”, alla manna che si trova in molte parti della regione e che è di tre tipi: “manna di fronda, manna di corpo e manna sforzata.” E ancora, le more che in Lombardia vengono considerate “frutto singulare” e i cedri e limoni “d’ogni sorte”, la pesca “molto famosa non solamente per la quantità, ma molto più per la qualità de’ pesci onde abbondano queste riviere…” e la descrizione, veramente suggestiva, della pesca del pesce spada dello Stretto. Insomma, una descrizione fin qui idilliaca, di una Calabria bella e selvaggia, in ciò seguendo il mito di una Calabria terra favolosa, avvalorato da molti viaggiatori e letterati, mito  che, per certi versi, sopravvive ancora oggi in un parziale e “patriottico” atteggiamento descrittivo e valutativo di molti che propendono per una visione idilliaca, venata magari da una colta nostalgia per l’età dell’oro della Magna Grecia, che sarebbe più che giusta se, ad essa, si affiancasse un’analisi attenta ed obiettiva dei problemi, delle ambiguità e delle miserie di questa terra martoriata.

Ma, addentrandosi in aspetti relativi alla società e alla vita degli uomini, l’autore della Relazione sembra cambiare repentinamente nei toni descrittivi e ci presenta una realtà difficile e amara. Così come aveva già fatto, oltre un secolo prima, il monaco domenicano Leandro Alberti che nella sua Descrittione di tutta Italia,avendo visitato la Calabria, offre di essa un quadro desolante in quanto a povertà delle popolazioni calabresi che nelle loro case avevano “la tavola ignuda con qualche vaso di terracotta, però pochi, con qualche frutta per il suo viver del giorno…” (Gustavo Valente, Leandro Alberti in Calabria, Tac, Cosenza 1968).

La realtà che ci presenta l’anonimo estensore della Relazione è via via sempre più dura e cruda, dalla descrizione della gente di “bassa mano” che vive di “tristo pane e di acqua pura”, alla denuncia della brutalità del Fisco e della prepotenza di soldati e baroni. E poi l’Amministrazione della Giustizia che è una farsa perché “non s’ha riguardo al pubblico bene de’ sudditi, ma ciascheduno de’ Ministri è intento al proprio guadagno”, per non parlare dei Tribunali ecclesiastici, anche questi corrotti al massimo livello, così come vengono denunciati l’”incorrigibile licenza de’ Chierici”, lo stato di abbandono e di trascuratezza di riti ed ornamenti religiosi non perché “si dee recar la colpa alla scarsezza dell’entrate Episcopali, come che non possano supplire al sostentamento de’ Vescovi e alle necessità delle Chiese…” e l’abuso scandaloso delle chiese-rifugio che, da luogo di sicurezza per chi aveva commesso reato, si trasformavano in luoghi dove “s’introducono conversazioni indegne, comerci lascivi, vi si trionfa colla crapula, vi si trattiene col giuoco, vi si esercitano quelle disonestà, che ne’ postriboli istessi obbrobriose, e sozze vengono riputate…”

Interessanti anche i paragrafi riguardanti i Monasteri le cui chiese, spesso, risultano essere “desolate, diserte, rovinose, cadenti, scoperte alle pioggie, e ridotte in sembianza di luogo profano giudicato all’apparenza anzi ricetto d’immondi animali, che Tempio di Dio, senza che alcuno si prenda pensiero di risarcirne le rovine, o ripararle”; l’Abbazia della Trinità di Mileto, fondata dal conte Ruggiero; la Certosa di Santo Stefano di cui vengono elogiate alcune opere come il Tabernacolo, per la “ricchezza della materia e la sottigliezza del lavoro” ed il Coro e la Sagrestia per “fattura d’intaglio”; il Convento di San Domenico a Soriano, il più illustre fra i Conventi degli Ordini  Mendicanti famoso “per la quantità de’ miracoli ch’ivi alla giornata succedono in virtù di un’immagine di San Domenico…”

Infine, l’anonimo estensore della Relazione dedica la sua attenzione anche a quelle che oggi definiremmo minoranze religiose, ma che all’epoca erano considerate e trattate da sette eretiche con tutti i risvolti discriminatori, tragici e sanguinosi che conosciamo: i Valdesi di “Guardia, Vaccarecio, e San Sisto” e gli Ebrei soprattutto di Catanzaro.

Appare evidente che, nel manoscritto, la visione della Calabria come terra bella, verde, fertile, ricca di risorse minerarie, dal mare pescoso, insomma una regione baciata dalla fortuna, venga, in un certo senso, oscurata dalla tragicità della realtà socio-politico-economica, che è espressa con obiettività e con una sottesa tensione morale dell’autore, volta alla rivendicazione di una società più giusta, tali e tanti sono i soprusi, la miseria, il degrado morale e materiale cui assiste durante il suo viaggio in Calabria.

Una testimonianza, quella dell’anonimo autore di questa Relazione, che andava assolutamente divulgata sia per la preziosità delle notizie che per il rigore, direi scientifico in senso lato, con cui è stata scritta. Del resto l’importanza della Relazione non è sfuggita al prof. Giuseppe Galasso che nel suo volume “La Calabria spagnola”, edito da Rubettino nel 2012, ha ampiamente citato il lavoro di Pistoia (la prima edizione de “Alla radice del presente” risale, infatti, al 1996).

Un plauso dunque va a Giovanni Pistoia per aver realizzato quest’opera di trascrizione del manoscritto, la cui lettura è stata facilitata dall’ampia e chiarissima sua introduzione, che rivela, a monte, un appassionato ed attento lavoro di ricerca.

Rosanna GIOVINAZZO
Dicembre 2013

Giovanni Pistoia
ALLE RADICI DEL PRESENTE
CALABRIA: vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento
seconda edizione
Photocity Edizioni, 2013