lunedì 27 maggio 2013

Inginocchiamoci!




Inginocchiamoci!
di Giovanni Pistoia

Vi è un’aria mesta nel paese. Quello di Fabiana, 16 anni, uccisa orribilmente e presumibilmente da un giovane di 17 anni; il paese di tutti noi, anche di chi non lo abita. Sul mio paese incombe un silenzio che sa di rabbia, di dolore, di vergogna. Il cielo, oggi, è azzurro ma ha l’amaro in bocca. Un vento leggero, sottile, sibila una cantilena tra gli uliveti e gli agrumeti, che si inchinano come in preghiera. Mi vergogno, e non è la prima volta, di essere un uomo, di appartenere alla specie, che è la più assassina e crudele del pianeta. Per il solo fatto di farne parte, ti chiedo perdono, Fabiana. Non ci siamo conosciuti, forse ci siamo incontrati fugacemente davanti al tuo istituto, chissà! Il tuo volto ora mi è noto. Ma non avrei voluto che accadesse così, ora che non ci sei. Ho un dolore atroce che mi lacera, non so come possa essere quello di chi ti ha dato alla luce, di chi ti ha voluto bene. Nessuna giustizia potrà essere giusta e adeguata per un delitto così efferato. Nessuna. Nulla potrà restituirti alla vita e nulla è più grave che togliere ad altri la vita.

Non so se Dio avrà il coraggio di guardarti negli occhi, se avrà una spiegazione, a noi ignota, del perché non ha ingessato quella mano, che stava per diventare assassina. Forse Dio ha fatto tutto alla perfezione. Mi incantano ancora i papaveri ogni volta che appaiono tra il verde dei campi, mi affascinano sempre i fiori di pesco selvatico che s’accendono in primavera davanti al tuo istituto, dove oggi si danno appuntamento per te i tuoi compagni e amici, ma resto sconvolto davanti all’uomo. Forse Dio era stanco quando ha messo mano a questa creatura. Certamente ne voleva fare un dono sublime e, invece, ne è nato un impasto, dove si annidano mostri orrendi. Forse Dio avrà le sue ragioni che io, povero e miserabile granello di sabbia, non posso capire. Che in tanti, forse, non sappiamo comprendere. Ma ci dia un segno della sua benevolenza. Ce lo dia perché ne abbiamo bisogno.

Intanto, le donne hanno il diritto di difendersi. Nessuno può chiedere loro di non difendersi, di chinare la testa, di farsi calpestare la dignità, di farsi violentare e massacrare. Ma sono soprattutto gli uomini, noi uomini, nessuno escluso, noi dobbiamo fare i conti con la nostra esistenza, noi con la concezione della nostra vita e di quella altrui. Siamo noi uomini che dobbiamo dimostrare a noi stessi di essere creature con un cuore e un cervello. Noi uomini che dobbiamo frantumare una sorta di omertà di genere che ci affligge e ci umilia.
Un uomo che fa della sua forza fisica (un braccio più muscoloso, una mano più robusta) un motivo di vanto, di arroganza, di prepotenza, è un essere insignificante, un miserabile soggetto, un vigliacco, che merita la riprovazione dell’universo intero.

Lo Stato non può stare a guardare, non può. Deve reagire con forza, con speditezza. Indagini serie, rigorose, equilibrate e in tempi brevi. E, soprattutto, certezza della pena. Deve innanzitutto prevenire e non aspettare il cadavere. Proteggere, contrastare, prevenire devono essere le parole d’ordine.

E questa nostra cittadina, sempre più al macero della rassegnazione e della distrazione per le colpe, chi di più chi di meno, di noi tutti, deve avviarsi a una svolta: diventare, o ridiventare, roccia, oppure polvere da dissolvere al vento e alle acque.

E ora che questo triste giorno si avvia a scrivere una pagina nera, e non solo per il nostro paese, ma per l’Italia tutta, inginocchiamoci; uomini tutti, inginocchiamoci davanti a Fabiana e a tutte le ragazze e le donne comunque offese, chiediamo loro perdono per quello che di straziante abbiamo loro fatto. Perdono.

Corigliano Calabro, 27 maggio 2013



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