sabato 9 febbraio 2013

Daniela FABRIZI/ Empito lirico per un Neo-Romanticismo


Empito lirico per un Neo-Romanticismo
di Daniela Fabrizi


Lasciateci in riva al sentimento, all’empito, al travaglio interiore che, se è tormento, è vitale nutrimento.
Lasciateci alle fronde come vento, perché possiamo stordire l’enfasi esteriore che non è dell’anima né più le rassomiglia, nel rumore di fondo di ciò che precipita nel vuoto di valori di un mondo ormai sepolto.
Lasciateci l’impeto e l’assalto, perché possiamo collocarli nella ribellione e nel silenzio di un’emozione che trascina l’uomo contro i mulini a vento senza muoverli di punto.
Lasciateci carpire gli occhi pieni di vetri taglienti appesi alle derivazioni del cervello, perché non si distraggano più nei cieli artificiali delle parole vuote e radioattive che provocano il cancro delle menti.

La nostra solitudine non è senza senso, è premura di strappare alle cose il sentimento, di recuperare legni brevi atti ad attraversare oceani di parole lasciate ad ammarare su spiagge di sproloqui dove non c’è pensiero né lamento, ma solo il correre di un tempo che non appartiene già più all’uomo né sicura del buio suo fermento.
Lasciateci vocaboli e sistemi più vicini al vero e non a ciò che ha ridotto il linguaggio vano nel suo finire inerte nel cielo depredato di significato.
Romantico non è ciò che commuove, e neppure ciò che lo scompone in contesti personali di amore e di dolore che non sono condivisi. È riappropriarsi della fonte di vita interiore dando voce a ciò che conta per l’uomo nel suo viaggio nell’umanità lacerata, lasciata alla deriva di una globalità che è distruzione della ricchezza dell’individualità che, condivisa, diviene comunità.
Lasciateci la vita, non quello che si chiama data, millennio, notte senza riva e calma confusiva. Non lasciateci treni che non conoscono più evocative stazioni perché da tempo hanno dimenticato i nomi delle banchine vuote. Non lasciateci i campi che sorreggono mostruose altalene di colture destinate a corpi senza cure, e che lasceranno il grano e il miglio nelle discariche allusive di chi non ha bisogno di premure.
Il tempo interiore è l’intenzione, l’atto, il coacervo di concordanze unite per iperbole alle rimembranze, con l’umana essenza denudata finalmente da votive apparenze deputate alle lingue, all’allitterazione spenta, alla disattesa sofferenza.
Nei numeri della poesia, gli archetipi si sposano con gli incipit primitivi e divengono teoremi universali originali e fecondi, mai succedenti.
Lasciateci l’impegno della costruzione di una civiltà viva, di una lettura lirico- soggettiva che divenga realtà e bisogno di universalità oggettiva.
Lasciateci un Neo-Romanticismo che abbia bisogno di condivisione e non più di solipsismo, con versi capaci di creare nuovi linguaggi i cui significati siano concepibili, e verbi coniugabili all’unisono da chi ha coscienza dell’infinita potenza della creativa conoscenza e della libertà di divergenza.
Lasciateci l’amore da coltivare per dare cibo giusto a mente e cuore!

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