domenica 21 ottobre 2007

passeggiando tra i libri/Traiettorie di sguardi

Traiettorie di sguardi
di Giovanni Pistoia

“Ma, dimmi, che cosa tu non accetti?” “Papà, non accetto le cose che non sono buone”. “Gue ping, Gue ping, Tseu tsu ha Makaping. (Approvo, Approvo, il tuo nome è Makaping)”.

È uno dei passaggi più belli e più significativi del viaggio che Geneviève Makaping racconta nel breve saggio dal titolo “Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?”, edito dalla Rubbettino nel 2001 (www.rubbettino.it). Makaping significa la “donna che non accetta”, “la donna che dice no”. Non indica solo negazione ma anche positività, accettazione, condivisione. Significa ancora “madre”. Questo nome, dato all’autrice e da lei accettato, all’età di dieci anni, è più che un fatto personalissimo, legato al viaggio umano della studiosa camerunese. È l’indicazione precisa, simbolica, di un atto di consapevolezza della propria autonomia, della capacità di pensare con la propria testa, di dire no e di dire si, secondo le proprie valutazioni, i propri ragionamenti e non seguendo le inclinazioni, i condizionamenti, i dettami degli altri. È un atto di riscatto, personale e di quanti si trovano nelle stesse condizioni. È la presa di coscienza del valore e dei significati del linguaggio e della parola: essi sono gli strumenti principali per capirsi con gli altri e interloquire ed esporre le proprie convinzioni, le proprie idee, manifestare la propria identità.

Geneviève Makaping è scrupolosa nell’uso delle parole, ne cerca il significato più profondo, ne ascolta i suoni, ne esamina i grafemi. Lo fa cominciando proprio nell’analizzare i suoi nomi, ognuno dei quali racconta una pagina di cultura. Se “Makaping” è il riconoscimento di un atto di libertà di pensiero, “Geneviève” è il suo nome “coloniale”, “Gotam”, è l’indicazione del rango dell’autrice nella scala della nobiltà della sua comunità d’origine: così continua a chiamarla la mamma. Ma il suo “arrivo al mondo” viene registrato “Bafoussam (in terra Bamilékè, mia origine etnico-tribale), altrimenti sarebbe stato come nascere all’estero, quasi un’onta per una persona di origini regali.”

Il saggio è un diario trasparente, che registra un viaggio continuo: quello personale, fisico, da un territorio a un altro, sentimentale, psicologico. Soprattutto culturale. L’autrice usa gli strumenti dell’antropologia, dell’osservazione partecipante. Sottopone al suo giudizio se stessa, la sua storia, quella di tanti come lei che hanno attraversato e attraversano confini e culture ma, ricca di un patrimonio personalissimo, fatto anche di tante tappe dolorose, studia gli “altri”, la maggioranza bianca. “Guardo me che guardo loro che da sempre mi guardano”. Nelle strade, sui mezzi pubblici, nelle aule universitarie gli “altri” la scrutano, la giudicano, spesso carichi di pregiudizi e di stereotipi, non poche volte la molestano, ma, in fondo, è lei che guarda, osserva, studia. Un incrociarsi di sguardi, un’attenzione al reciproco ascolto, un capire le diversità: il lavoro della Makaping è una bussola che può aiutarci a non perderci nei nostri viaggi quotidiani, a comprendere un mondo sempre più piccolo, dai mille linguaggi, carichi di significati, da decodificare.
(21 ottobre 2007)

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