venerdì 15 marzo 2024

MONICA LANZILLOTTA, Cesare Pavese – Una vita tra Dioniso e Edipo, Roma, Carocci Editore 2022, pp. 302 [Letto da Dante MAFFIA]

 


Finora Cesare Pavese, tranne poche eccezioni, è stato letto e interpretato soprattutto per ciò che ha prodotto sugli altri, per gli effetti che le sue opere hanno avuto, indubbiamente di grande rilievo, nei giovani che lo hanno seguito. Monica Lanzillotta, Docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi della Calabria, affronta l’opera di Pavese nella sua estensione e nella sua profondità partendo da Dioniso, “che rappresenta l’infanzia, epoca che contiene i contrari, e Edipo, che rappresenta l’adultità, fase della vita in cui il destino è tracciato”. Così ci avvisa il risvolto di copertina del testo e le affermazioni non sono smentite dalla cura certosina con la quale i capitoli sono scanditi.

Pur essendo un saggio condotto e sviluppato con impegno scientifico si legge agevolmente e così si viene a confermare il magistero di uno scrittore capace di assorbire i nuovi fermenti in atto, perfino quelli lontani che arrivavano dagli Stati Uniti, e se  ne comprende la portata letteraria, umana e perfino politica, nel senso aristotelico della parola, forse perché Pavese “rispetto agli scrittori suoi contemporanei, sfugge a ogni collocazione nel territorio strettamente letterario del primo Novecento”.

Questo dato, subito evidenziato da Monica Lanzillotta, ci mette sulla strada giusta per poter entrare liberamente nell’arsenale ricchissimo dello scrittore che aveva assorbito esperienze d’ogni tipo, perché onnivoro e convinto che senza i fremiti e l’impatto con la realtà del quotidiano non trovano spazio neppure non dico le utopie ma neppure i progetti ideali per il riassesto di una realtà che in Italia fu tragica all’epoca in cui egli visse.

La Lanzillotta ha la pazienza di saper entrare anche negli angoli più nascosti della vita e delle opere di Pavese ed è per questo che finalmente abbiamo un ritratto a tutto tondo del personaggio, ma soprattutto abbiamo un giudizio adeguato delle opere.

Non viene trascurato niente e non vi sono giudizi generici magari mutuati da un entusiasmo preso in prestito dalle vicende politiche e da altri elementi riguardanti la persona. La Lanzillotta esamina le opere considerandole in tutti i loro aspetti in modo da far comprendere che siamo al cospetto di un gigante e infatti, nonostante che Pavese abbia scritto pagine impegnate (La letteratura dell’engagement, pag. 131), non cade mai nel “vizio” comiziale, ma crea, da grande scrittore, personaggi ed eventi che siano portatori di valori e di impegno, ma restando sempre nella narratività più fluida e ben congegnata che non sciupa il dettato.

Il suo magistero consiste soprattutto nell’aver saputo realizzare protagonisti   che hanno interpretato i valori ideali della politica senza diventare veicoli avulsi dalla quotidianità, restando sempre integralmente uomini.

Almeno un passo di questa importante opera che ha saputo sintetizzare il mare immenso pavesiano e farcelo comprendere nella sua intensità e nella sua dimensione planetaria:

 “Le opere di Pavese sono incentrate sul riemergere delle origini (“la prima volta”) superate e rimosse, che permettono di comprendere chi si é: le trame ruotano intorno all’indagine conoscitiva che porta progressivamente il personaggio a riconoscere il destino, la forza inconscia che lo risospinge in una sola direzione, verso le origini, per cui i miti sottostanti alle storie raccontate da Pavese sono quella di Dioniso, che rappresenta lo stato costitutivo dell’infanzia, il caos indifferenziato, il mostruoso perché nel dio convivono i contrari e i generi (è al tempo stesso dio,  uomo, donna, animale, pianta, ecc.),  e quello di Edipo celebrato da Sofocle, che scopre di essere diventato parricida e di avere sposato la madre Giocasta, come destino”.

Mi pare evidente che Monica Lanzillotta sia potuta arrivare a questa profondità di analisi avendo, come dire? vissuto le istanze e i sentimenti di molti dei protagonisti dei libri di Pavese in modo da poter cogliere, dall’interno, i fermenti e le accensioni ideali con convinzione e in armonia col proprio universo.

Pavese ha sempre avuto qualcosa di appiccicaticcio, ha sempre “preteso” che il suo lettore diventasse complice in tutte le sue azioni. Ne è prova lampante l’appendice curata da Flavio Poltronieri e Manlio Todeschini intitolata “Opere musicali ispirate a Cesare Pavese”. Ben quindici pagine tra riferimenti alla musica leggera e a quella classica.

Nessuno scrittore, mai, ha avuto tante adesioni.

Ma non si trascurino le pagine dedicate a “La nuova edizione di Lavorare stanca”, perché la poesia di Pavese è un capitolo ancora aperto sia per la sostanza poetica dell’opera e sia, forse soprattutto, per la svolta impressa a tutta la poesia, non solo italiana, che cincischiava su formule e formulette d’accatto.

Insomma, questo testo di Monica Lanzillotta è davvero importante, dire essenziale, per entrare nel mondo di uno dei maggiori narratori del Novecento e direi di uno dei maggiori poeti del Novecento.

“La volontà testamentaria di Pavese non viene però rispettata e la sua figura viene ‘smembrata’…tra pettegolezzi, curiosità morbose, mitizzazioni, stroncature. Uno sparagmòs, peraltro, che si addice ai grandi, e non certo ai mediocri, che si pratica su figure eretiche e martiriali, se non su divinità o semi-divinità’ (Gigliucci, 2001, p. 92).

Il viaggio nella vita e nelle opere di Pavese si chiude su questo passo, che restituisce lo scrittore al rito di rinascita di Dioniso, il dio a cui somiglia”.

 

Finora Cesare Pavese, tranne poche eccezioni, è stato letto e interpretato soprattutto per ciò che ha prodotto sugli altri, per gli effetti che le sue opere hanno avuto, indubbiamente di grande rilievo, nei giovani che lo hanno seguito. Monica Lanzillotta, Docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi della Calabria, affronta l’opera di Pavese nella sua estensione e nella sua profondità partendo da Dioniso, “che rappresenta l’infanzia, epoca che contiene i contrari, e Edipo, che rappresenta l’adultità, fase della vita in cui il destino è tracciato”. Così ci avvisa il risvolto di copertina del testo e le affermazioni non sono smentite dalla cura certosina con la quale i capitoli sono scanditi.

Pur essendo un saggio condotto e sviluppato con impegno scientifico si legge agevolmente e così si viene a confermare il magistero di uno scrittore capace di assorbire i nuovi fermenti in atto, perfino quelli lontani che arrivavano dagli Stati Uniti, e se  ne comprende la portata letteraria, umana e perfino politica, nel senso aristotelico della parola, forse perché Pavese “rispetto agli scrittori suoi contemporanei, sfugge a ogni collocazione nel territorio strettamente letterario del primo Novecento”.

Questo dato, subito evidenziato da Monica Lanzillotta, ci mette sulla strada giusta per poter entrare liberamente nell’arsenale ricchissimo dello scrittore che aveva assorbito esperienze d’ogni tipo, perché onnivoro e convinto che senza i fremiti e l’impatto con la realtà del quotidiano non trovano spazio neppure non dico le utopie ma neppure i progetti ideali per il riassesto di una realtà che in Italia fu tragica all’epoca in cui egli visse.

La Lanzillotta ha la pazienza di saper entrare anche negli angoli più nascosti della vita e delle opere di Pavese ed è per questo che finalmente abbiamo un ritratto a tutto tondo del personaggio, ma soprattutto abbiamo un giudizio adeguato delle opere.

Non viene trascurato niente e non vi sono giudizi generici magari mutuati da un entusiasmo preso in prestito dalle vicende politiche e da altri elementi riguardanti la persona. La Lanzillotta esamina le opere considerandole in tutti i loro aspetti in modo da far comprendere che siamo al cospetto di un gigante e infatti, nonostante che Pavese abbia scritto pagine impegnate (La letteratura dell’engagement, pag. 131), non cade mai nel “vizio” comiziale, ma crea, da grande scrittore, personaggi ed eventi che siano portatori di valori e di impegno, ma restando sempre nella narratività più fluida e ben congegnata che non sciupa il dettato.

Il suo magistero consiste soprattutto nell’aver saputo realizzare protagonisti   che hanno interpretato i valori ideali della politica senza diventare veicoli avulsi dalla quotidianità, restando sempre integralmente uomini.

Almeno un passo di questa importante opera che ha saputo sintetizzare il mare immenso pavesiano e farcelo comprendere nella sua intensità e nella sua dimensione planetaria:

 “Le opere di Pavese sono incentrate sul riemergere delle origini (“la prima volta”) superate e rimosse, che permettono di comprendere chi si é: le trame ruotano intorno all’indagine conoscitiva che porta progressivamente il personaggio a riconoscere il destino, la forza inconscia che lo risospinge in una sola direzione, verso le origini, per cui i miti sottostanti alle storie raccontate da Pavese sono quella di Dioniso, che rappresenta lo stato costitutivo dell’infanzia, il caos indifferenziato, il mostruoso perché nel dio convivono i contrari e i generi (è al tempo stesso dio,  uomo, donna, animale, pianta, ecc.),  e quello di Edipo celebrato da Sofocle, che scopre di essere diventato parricida e di avere sposato la madre Giocasta, come destino”.

Mi pare evidente che Monica Lanzillotta sia potuta arrivare a questa profondità di analisi avendo, come dire? vissuto le istanze e i sentimenti di molti dei protagonisti dei libri di Pavese in modo da poter cogliere, dall’interno, i fermenti e le accensioni ideali con convinzione e in armonia col proprio universo.

Pavese ha sempre avuto qualcosa di appiccicaticcio, ha sempre “preteso” che il suo lettore diventasse complice in tutte le sue azioni. Ne è prova lampante l’appendice curata da Flavio Poltronieri e Manlio Todeschini intitolata “Opere musicali ispirate a Cesare Pavese”. Ben quindici pagine tra riferimenti alla musica leggera e a quella classica.

Nessuno scrittore, mai, ha avuto tante adesioni.

Ma non si trascurino le pagine dedicate a “La nuova edizione di Lavorare stanca”, perché la poesia di Pavese è un capitolo ancora aperto sia per la sostanza poetica dell’opera e sia, forse soprattutto, per la svolta impressa a tutta la poesia, non solo italiana, che cincischiava su formule e formulette d’accatto.

Insomma, questo testo di Monica Lanzillotta è davvero importante, dire essenziale, per entrare nel mondo di uno dei maggiori narratori del Novecento e direi di uno dei maggiori poeti del Novecento.

“La volontà testamentaria di Pavese non viene però rispettata e la sua figura viene ‘smembrata’…tra pettegolezzi, curiosità morbose, mitizzazioni, stroncature. Uno sparagmòs, peraltro, che si addice ai grandi, e non certo ai mediocri, che si pratica su figure eretiche e martiriali, se non su divinità o semi-divinità’ (Gigliucci, 2001, p. 92).

Il viaggio nella vita e nelle opere di Pavese si chiude su questo passo, che restituisce lo scrittore al rito di rinascita di Dioniso, il dio a cui somiglia”.





lunedì 5 febbraio 2024

LUIGI TROCCOLI, Lettere dalla montagna in fiore, Castrovillari, Edizioni Prometeo, 2023 [LETTO DA DANTE MAFFIA]

LUIGI TROCCOLI, Lettere dalla montagna in fiore, Castrovillari, Edizioni Prometeo, 2023, pag. 184, euro 10.

Di Dante MAFFIA

Due annotazioni immediate.

La prima: questo è un libro che tradotto in giapponese diventerebbe un best seller in poche settimane.

La seconda: Jorge Luis Borges ha sempre sostenuto che è molto più difficile scrivere un racconto anziché un romanzo.

A leggere questi racconti, ognuno dei quali ha un fiato meraviglioso e di rara bellezza, do piena ragione allo scrittore argentino.

Altra annotazione da fare: i racconti hanno una loro fisionomia unica, ben realizzata, eppure, sottilmente, sono anche capitoli di un percorso che Luigi Troccoli ha compiuto con un fiato unico. Raro esempio di una coerenza stilistica e tematica ormai quasi dimenticata dai nuovi narratori che spesso e volentieri mettono a cuocere argomenti che tra di loro non hanno nessuna affinità.

Ancora. Si noti la ricchezza e la forbitezza del linguaggio e poi delle citazioni a dimostrazione di un interesse di Troccoli che non è soltanto d’amore per i luoghi, ma anche di cultura che illumina le ragioni del mondo vegetale, della montagna, nella sua estensione e nella sua bellezza.

Da Carlo Darwin a John Ruskin, da Mario Rigoni Stern a Tenore- Petagna – Terrone, da Johan Wolfgang Goethe a Marlen Haushofer, da Immanuel Kant a Francesco Petrarca, da Plinio a Ugo Foscolo, da Thomas Mann a Khalil Gibran, da Hermann Hesse a Lord Byron, da Jean Jacques Rousseau a Leonardo da Vinci, a Honoré de Balzac.

Un lungo elenco, lo so, ma necessario per far intendere come lo scrittore ha proceduto per rendere le pagine ricche di fiato naturale e di fiato culturale.

Ma andiamo ai racconti. Alla loro sostanza, alla loro bellezza, al loro modo di porsi.

Ovviamente, perché non risultasse un libro di meditazione  alla maniera orientale, lo scrittore ha inserito, durante le passeggiate di Scilla e di Giorgio, degli avvenimenti, il vecchio di Viggianello che cerca la genziana e che chiama Egiziana, la presenza della pittrice (che poi sarà Scilla) che si perde nel bosco e che poi torna magicamente, la storia di Donna Maria, storia che nei libri di Mastriani è frequente ma che Troccoli ha saputo inserire nel contesto sociale con una abilità narrativa che la rende unica, il bacio… che ha il fiato della grande pittura, il pastorello Ianagio, storia di violenza e di tragica risoluzione… e poi la storia del Pino che ha qualcosa di divino e di assoluto, il grido della ferriera, l’abbaglio dell’oro, addirittura il Mare Piccolo che Troccoli risolve con genialità senza argomentare sulla contraddizione se non con una frase, il grido che soltanto Scilla sente, l’albero dell’Amore… quella pagina sublime  in cui Giorgio e Scilla dialogano, a pag. 157:

“Che senti?” gli chiese Scilla, come al solito sempre prima nel tentare di prevenire una durata eccessiva dei silenzi, quasi che temesse l’insorgenza di un abulico, repentino e temuto distacco della sua attenzione verso di lei.

“E ti senti felice o incompleto?”

“Sono felice e incompleto. Felice perché non desidero niente di materiale che già non posseggo e niente di immateriale che vorrei raggiungere; incompleto, perché ti sento troppo distante, nonostante tu sia qui al mio fianco”.

“In questo momento -ella disse- mi sembra che noi e il mondo siamo senza peccati, come se il male non esistesse… Sto vivendo una condizione di purezza: tutto è puro su questo monte, attorno a noi e dentro di noi”.

Ho detto all’inizio che Troccoli ha percorso i vari racconti con un unico fiato e che addirittura potremmo configurare l’opera con il romanzo di Scilla e di Giorgio che ci mostrano la montagna in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue magie.

Ci sono descrizioni superbe, da prosa d’arte, che ci fanno sentire il palpito del paesaggio in tutti i risvolti, nei mutamenti sottili, nella frenesia dei colori e del silenzio, nel respiro divino che si apre e detta luce senza riserva.

Che dire? Il mio entusiasmo fa comprendere subito che si tratta di un vero capolavoro e di una guida sacra per chi volesse visitare il Pollino in tutte le sue diramazioni.

Troccoli non è nuovo a simili sorprese, ma con “Lettere dalla montagna in fiore” ha raggiunto un risultato davvero raro, un esito poetico convincente e così limpido da farmi pensare alla scrittura di Vincenzo Cardarelli.


martedì 9 gennaio 2024

"Antichità" rinascimentali a Corigliano e altri scritti di Luigi De Luca a cura di Giovanni Pistoia

https://www.academia.edu/112933101/_Antichit%C3%A0_rinascimentali_a_Corigliano_e_altri_studi_di_Luigi_De_Luca

 




«Come il fiume fluisce verso il monte»: un libro di poesie di Giovanni Pistoia alla sua terza edizione di Maria Teresa Armentano

 




Si sa i fiumi prevedibilmente fluiscono verso il mare, se invece la corrente scorre al contrario, vuol dire che anche la propria esistenza in quel frangente cambia direzione e aspira non a confondersi nel vasto mare ma ad ancorarsi alle pendici di un monte da scalare per giungere alla vetta. Così nel libro di Giovanni Pistoia si scoprono versi che si nutrono del ricordo di un passato felice e che raccontano di tristezze profonde con una sola certezza che vuol essere anche consolazione: la poesia come sogno mai perduto che consente al poeta di coniugare l’amore con il dolore. In questo testo scorre la vita del poeta, si alternano i ricordi dell’infanzia felice e i silenzi che segnano quei ricordi svaniti nel nulla dell’assenza dei propri cari. Sono presenze i luoghi, i vicoli, i muri, le case diroccate, le immagini improvvise e rubate a una vita trascorsa, viva solo nella memoria Qui tutto è vita anche nella casa abbandonata che sta per essere abbattuta. Nelle crepe delle pareti / erba soffice che sa di velluto / tenera come pianto di bimbo lontano. Ragnatele tessono l’elogio del tempo / e fili di voci distanti scrostano pareti offese / e pendono dal tetto vibrazioni soffuse. (La casa). C’è il silenzio del poeta che sa ascoltare le voci che il tempo non annulla, che ha sguardi per i particolari che solo i suoi occhi sanno vedere e che fissano squarci velati dal tempo offuscato della memoria, spiragli di luce che balzano improvvisi dai gesti, dai profumi, dai colori che travalicano il senso delle cose perdute negli anni. … E c’era il profumo del silenzio / nel piccolo giardino di rose bianche / nei mattini di rugiada cristallina; … Se la memoria sbiadisce, la parola la riporta alla luce ... Ridatemi la parola, quella vera, / quella che quando parla, dice, / e ascolta e il cuor si nutre di senso / ed essenza; …. foglia di primavera al sole dell’aurora. (Le parole che ascolto). Un inno alla parola che sola rievoca il dolore e la gioia, che confonde i ricordi e fa fiorire oggetti, persone, luoghi. 

Le immagini rievocate ricordano per certi aspetti i versi dei poeti crepuscolari che scoprivano la meraviglia nelle piccole cose: il fiore del campo, la fragranza del pane appena sfornato, la pignatta che brontolava a fuoco lento. A differenza dei crepuscolari, in Pistoia c’è l’esigenza di guardare dietro le cose, penetrando la profondità perché le apparenze non gli appartengono. Ogni oggetto, ogni luogo, ogni immagine ha il suo segreto e sta al poeta scoprirlo per andare oltre l’orizzonte che tutti vedono, verso quell’invisibile che appartiene solo al cuore di un poeta. E in questo modo che un mondo lontano, forse sparito, riemerge dalla nebbia della memoria e si definisce nei contorni come fosse presente, percepibile e la visione vagheggiata muta assumendo i contorni della quotidianità. Trovarsi in un mondo passato ma viverlo al presente, questo il dono dei versi di Giovanni Pistoia. Un giorno -ne è passato del tempo!- / ti ho donato un fiore / ne hai fatto un giardino. / Da allora mi regali arcobaleni e semi / per nuovi balconi fioriti. Ma un fiore / raccolto è fiore spezzato, lacerante, / il suo è sorriso apparente / e profuma un istante; un fiore reciso / porta con sé la fine e l’incanto. (Un giorno). Le esperienze della sua esistenza diventano anche le nostre, le sue emozioni generano le nostre. Il suo affidarsi alle parole come tramite per creare nuovi palpiti e vibrazioni compie il miracolo: la semplicità dell’esistenza quotidiana si trasforma in altro, i ricordi sono un filo perenne che si dipana lentamente per giungere ai lettori sorpresi per un vissuto che appare vicino e richiama le proprie esistenze. Sulla quiete del placido lago / l’airone solennemente plana, / un rapido becco nell’acqua / e via a riprendere il volo, / scompare tra gli alti canneti. /… Gorgheggia l’usignolo e nulla richiede.  / Un gatto vagabondo mi guarda e si siede. / Vivo altrove, dove non so. / Ai confini del cielo, ai confini del mare, / sulle ali dell’airone che torna a volare. (Sul lago di Tarsia). 

Affidarsi alle parole come tramite  perché diventino vivi gli elementi della natura che ci circondano  come la foglia che  si anima danzando in un rito antico cullata dalla malinconia trascinando con sé  le memorie di un tempo cancellato;  come  la neve  colore bianco del silenzio, come  le stelle cui confidiamo i nostri desideri più segreti, come la  farfalla che non si pone domande, come il bosco bruciato che brulicava di pensieri e taciturni  lamenti… una natura amata  a cui  il poeta sente di appartenere e che rappresenta la ricchezza della sua anima. Le ultime poesie del testo sono dedicate alle tragedie del mondo di oggi e di ieri. Dall’indifferenza dei giovani che dimenticano non conoscendo le tragedie della storia, al talento dei giovani ingannati, ai migranti che vagano nel mare, naviganti senza stelle che cercano nuove albe, alla natura violata, agli alberi che la rabbia del vento sferza nei vuoti tronchi nodosi. Su questo mondo di promesse tradite l’eco della poesia che è la voce del dolore. La poesia è la voce del dolore, ne conosce / la grammatica segreta. Nel silenzio infinito / delle valli, tra cielo e mare, risuona l’eco / della sua voce; eco infinito, interminabile, / come il dolore, quello ignoto e ignorato, / quello che si cela tra le piaghe di un sorriso / come una maledizione, una punizione / l’espiazione di una pena. Nel dolore/ resiste quel che resta dell’amore. (L’eco).

Si chiude così il cerchio iniziato dai luoghi dell’infanzia, dal ricordo dei propri cari, dai lunghi silenzi ripopolati dai fantasmi del passato; il silenzio che morde e fa soffrire, il silenzio che evoca memorie come sorgenti di nuova vita, il silenzio in cui dolore e amore si confondono e aprono altri orizzonti, rinnovate speranze al cuore del poeta.


giovedì 21 dicembre 2023

IL PRESEPIO di Dante Maffia

Circa settanta anni fa arrivò a casa un pacco, da Napoli, spedito dai Fratelli Nazzari (si può citare, non esiste più) nel quale c’erano piccole statue: il Bambino Gesù, Maria e San Giuseppe. Ho scritto Maria senza accorgermene, così, chiamandola per nome, proprio come mi veniva spontaneo chiamare per nome mia madre.

Poi dal pacco venne fuori un bue, un asinello, alcuni pastorelli, una lavandaia, un fabbro ferraio, un falegname, un contadino, una tessitrice, una fornaia, un sagrestano, un venditore ambulante…

Il materiale era una creta non pregiata e i colori un po’ approssimativi, eppure quei visi mi vennero incontro subito abbracciandomi, dicendomi carezzevoli parole d’amore.

Era il giorno di Santa Lucia. Mio padre allestì il presepe, anzi, come gli piaceva dire, il presepio, in due vecchie bacinelle in cui sparse della carta colorata, del muschio, dei fiocchi di bambagia per fare la neve, dopo essere riuscito a costruire con dei cartoni di una scatola di scarpe la capanna, e poggiò le due bacinelle appaiate sulla sinistra del caminetto dove c’era uno spazio abbastanza comodo.

Aiutò mia madre ad avvicinarsi con la sua sedia di paglia dove stava tutto il giorno inchiodata perché paralitica, chiamò i miei fratelli, Luigi e Antonio, e mia sorella Filomena, mi strinse a sé e cominciò ad intonare “Tu scendi dalle stelle”.

Giuro che il Bambinello Lo vidi scendere e abbracciare tutta la famiglia, in un lampo.

Quella magia si ripeté per alcuni anni, cioè fino a che mio padre, troppo giovane, morì per un infarto.

Il giorno di Santa Lucia io vivo da sempre quella emozione. Una eredità che ha moltiplicato i suoi fremiti e i suoi messaggi, anche se vedo che il mondo continua le guerre, fa violenze, non riesce a saldare la pace necessaria per evitare sangue e dolore.

Mi domando: “Non ho ottemperato a qualcosa di necessario ed è per questo che in Ucraina, in Persia e altrove il fratello uccide suo fratello. Se è colpa mia sono pronto al sacrificio, perché capite quanto è bello e dolce poter essere stretti ai propri cari e cantare “Tu scendi dalle stelle”. Se c’è bisogno d’un sacrificio io sono pronto.

Ce l’ho ancora quelle rudimentali statuine, mi raccontano tante storie e quella del Bambino che nasce e rinasce è sempre più ricca e affascinante. Perché? E me lo chiedete? Ma vi rendete conto che sono oltre duemila anni che Gesù rinasce? Spiate attentamente nel vostro cuore, anche voi, uomini incalliti e donne straziate, attentamente! E lo vedrete che sorride e che vi prometterà tanta serenità. Ma è importante cercarlo, volerlo, desiderarlo. Lui deve sentire che lo desiderate, che vi manca, che avete le mani e il cuore pronti e perciò necessita.

Cantate e voce piena “Tu scendi dalle stelle”.

Io, purtroppo, non so più cantare.


lunedì 20 novembre 2023

 



Giovanni Pistoia

Come il fiume fluisce verso il monte

versi di terra e vento

terza edizione, novembre 2023

In copertina: opera di Rocco Regina

https://www.ibs.it/come-fiume-fluisce-verso-monte-libro-giovanni-pistoia/e/9791222705910

https://www.libreriarizzoli.it/Come-fiume-fluisce-verso-Giovanni-Pistoia/eai979122270591/

https://www.youcanprint.it/come-il-fiume-fluisce-verso-il-monte-versi-di-terra-e-vento/b/824b5c4d-3ac3-5273-8ace-a57a2f185552

https://www.mondadoristore.it/Come-fiume-fluisce-verso-Giovanni-Pistoia/eai979122270591/

https://www.lafeltrinelli.it/libri/autori/giovanni-pistoia

https://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_pistoia+giovanni-giovanni_pistoia.htm

https://play.google.com/store/info/name/Giovanni_Pistoia?id=113qfmyyy

https://www.hoepli.it/autore/giovanni_pistoia.html?autore=%5b%5bgiovanni+pistoia%5d%5d&

«La natura e i ricordi d’infanzia sono due temi che volentieri si intrecciano, poiché la natura è molto spesso il luogo dell’infanzia. La raccolta celebra entrambi questi temi (ma non solo) esplorando la bellezza di tempi e di spazi lontani, eppur vicini. La prima sensazione che si prova leggendo il testo è quella di entrare in un luogo abbandonato, dove l’autore, ritornato bambino, cerca sé stesso. Nessuna nostalgia, ma profondità di pensieri e riflessioni. Eppure, in tutta questa dovizia di particolari che riportano al passato, non c’è nessuna traccia fortemente realistica: tutto è ripescato come da un sogno, che però ha contorni nitidi e ha voce ferma e perentoria. In questa sorta di “ricostruzione” di una certa epoca, non c’è nulla di stantio o di crepuscolare, c’è semmai la necessità di riappropriarsi di ciò che s’è perduto in modo da poter servire a chiarimenti, a confronti, insomma alla crescita. Ma la raccolta è qualcosa di più: un racconto di sospiri, un concentrato di destini dove tutto risuona con un timbro e uno stile non più riproducibile per la densità e pienezza.»



sabato 11 novembre 2023

MICHELA QUAGLIARIELLO, E se il biscotto avesse ragione?, Barcellona Pozzo di Gotto, pp. 232, Edizioni Smasher, 2023 letto da Dante Maffia

Mi hanno sempre attratto i titoli dei libri quando sfrontatamente dichiarano una punta di surrealtà, quando vanno alla ricerca di umanizzare le situazioni attraverso immagini che sembrano assurde ma che fotografano, quasi sempre, i risvolti della realtà nel farsi e disfarsi delle vicende.

Non è casuale, quindi, che mi abbia immediatamente attratto “E se il biscotto avesse ragione?”, di Michela Quagliariello, della quale però non ho trovato nessuna notizia biobibliografica né a fine volume né sul risvolto, al punto che ho sospettato che si tratti di uno pseudonimo.

Il libro è affascinante, un romanzo vero scritto con una lingua perfettamente adeguata alla sostanza del racconto, che prende le mosse dall’oroscopo cinese, tanto è vero che i quattordici capitoli s’intitolano “Topo”, “Bue”, “Tigre”, “Coniglio”, eccetera.

Non è una semplice trovata, ma gabbia necessaria che racchiude la narrazione in una concatenazione di eventi registrati con perfetta armonia e illuminati sempre da una vigile attenzione alla parola mai fuori luogo, scelta con estrema cura.

Le storie sono parecchie, ma il filo conduttore è quello che accompagna la vita di Violetta, i suoi incontri, i suoi amori, le sue accensioni, le sue delusioni. Il tutto descritto col garbo di chi sta registrando gli eventi evitando di renderli mera notizia. enunciato, ma vita che palpita e fa sentire il suo fermento, le sue passioni, le sue cadute.

Molto ben riuscite anche le storie nella storia di Violetta, come quella dello sposalizio del padre, o del viaggio in aereo, e sempre ben orchestrata la simmetria delle azioni che sembrano germinare con naturalezza dalle occasioni della vita. Come pure ben calibrate le scene d’amore che restano sempre in un alone di poesia emanante un vero profumo di vita.

Le sperimentazioni degli ultimi decenni hanno mortificato spesso la narrazione portandola ad esiti spesso confusi o privi di una reale necessità espressiva, di una esigenza narrativa che attinge al pozzo ricco e sempre vivo dei sentimenti. Qui invece, non solo per dare ragione al biscotto, ma perché la Quagliariello mostra di credere alla forza delle emozioni ed è capace di raccontare senza enfasi, senza retorica, senza carichi estranei ai fatti, assistiamo a scene di vita in cammino, mai legate a stereotipi. 

La Quagliariello sa entrare nella sostanza piena delle azioni e descrivere con eleganza e con precisione le scaturigini dei desideri, perfino degli atti sessuali, saputi resi con vibrata accensione di vera poesia.

Insomma, questo “E se il biscotto avesse ragione?” è un libro da segnalare con piena convinzione ai lettori, che non rimarranno delusi perché non si tratta di pagine convenzionali e scaturite dalla muffa dei libri, ma di pagine palpitanti e ricche di quegli umori che aprono e fanno conoscere le segrete vie del mistero dell’amore.

Potremmo estrapolare alcuni episodi per dare degli esempi di come la narratrice ha saputo restare partecipe senza strafare ogni volta che Viola è stata coinvolta, ma non renderemmo un buon servizio al libro che invece si impone per la sua struttura ben organizzata, per la sua essenzialità e per la sua eleganza nel parlare della profondità dei sentimenti.

Ecco la ragione per cui il ritratto di Viola appare in tutta la sua umanità, in tutta la sua veridicità affascinante.

Da non sottovalutare la maniera sincronica e riuscita al massimo della trovata dell’oroscopo. L’autrice, in questa maniera, è come se avesse fatto scaturire con naturalezza tutto ciò che accade nelle pagine.

Non è una cosa da sottovalutare. Scrivere senza i pesi del sapere che s’insinua e spesso rovina la fluidità del dettato è un’alchimia rara e non sempre facile da adottare. Un esempio a cui mi ha fatto pensare Michela Quagliariello è la scrittrice francese Francoise Sagan.

Michela Quagliariello quindi ci riesce ed è per questo che tutti i protagonisti che si muovono nel romanzo mostrano una vita vera, non sono privi di emozioni, anzi sono sempre momenti del cammino umano che sa dare retta al cuore.

Un romanzo, quindi, da segnalare al pubblico con sincera convinzione, un libro che lascerà una traccia e un lievito fertile in chi saprà stare accanto a Mingmei, a Viola, a Roberto, a Maurizio, a Federico, a Daniele, ai bambini, e ai tanti altri che popolano questo affresco palpitante e suggestivo.

Dante Maffia